Nota a margine. Sull’orgoglio di essere italiani…

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Tornando verso casa da La Goulette, l’altra mattina, son capitato per sbaglio nel popolare quartiere detto ‘la piccola Sicilia‘,  in prossimità del porto, e mi son trovato di fianco la chiesetta parrocchiale di Sant’Agostino. Avevo ancora tempo e così ho deciso di fare una breve sosta. La chiesetta è piccola ma ben tenuta. Un po’ malandate le tempere sulle volte laterali che, a causa dell’umidità mostrano chiazze bianche qua e là. Non sono gran cosa ma varrebbe, forse, la pena di restaurarle, se non altro per eliminare il fastidioso senso di trascuratezza che si percepisce e che non rende merito della cura con la quale la chiesa viene mantenuta.
Ero distratto da questi pensieri quando ho intravisto una suora della congregazione di Madre Teresa di Calcutta. Una suorina indiana piccola piccola alla quale, nel salutarla, ho chiesto cosa ci facevano le suore di Madre Teresa in Tunisia. Mi ha spiegato che sono lì da qualche anno per prestare soccorso alle persone anziane indigenti. Faceva molto caldo e la suorina mi ha invitato a seguirla nella casa della carità adiacente. Sono entrato e mi ha fatto accomodare nella stanza d’ingresso, dove sono stato invitato a sedermi su una sedia intorno ad un grande tavolo vicino alla porta che dà sulla cucina. Ho visto tre ospiti, anziane signore molto ben accudite, e sono rimasto sorpreso nel sentir rispondere al mio saluto in italiano. Con mia grande sorpresa ho scoperto che tutti gli ospiti della casa sono italiani. Ho chiesto spiegazioni alla suorina, che intanto mi aveva servito un bicchiere di acqua fresca e qualche pasticcino. Mi ha risposto che gli ospiti sono quasi tutti italiani. Loro si occupano di assisterli, assicurar loro un tetto dove dormire e un posto dove possono trascorrere serenamente ques’ultimo tratto del cammino della loro vita, in un clima familiare e sereno. La suorina mi ha invitato a visitare le camere, modeste ma linde e ben curate. Ho incrociato altri ospiti, tutti italiani. Qualcuno mi ha fermato per chiedermi di dove ero, cosa facevo, se sarei ripartito presto per l’Italia. Uno di loro aveva le lacrime agli occhi.
Ho chiesto alla suorina indiana quante erano ad occuparsi della casa. Mi ha risposto che sono in tre. Mentre stavo per uscire sono arrivate anche le altre due suore. Anche loro indiane.
Ho chiesto alla madre superiora come fanno ad andare avanti. Mi ha risposto alzando gli occhi al cielo. Certo, ho detto, ci mancherebbe altro che la Divina Provvidenza si scordasse di voi. Ma l’ambasciata italiana vi sostiene in qualche modo. Si, mi ha risposto la madre. Non scrivo, per pura decenza, cosa passa l’ambasciata ogni trimestre a questo istituto che si prende cura dei nostri connazionali anziani indigenti.
Dopo aver salutato in modo adeguato le suore, ringraziandole per la loro opera di carità, mi sono incamminato verso casa.

E a questo punto è successo qualcosa che mi ha spinto a scrivere questa ‘Nota a margine’. Nonostante il poco traffico mi sono accorto, infatti, nel guidare, di avere i nervi tesi come quando mi trovo nel caos urbano del centro di Tunisi. Non riuscivo a spiegarmene la ragione. Che fossero quei pasticcini? Ma se non li ho neanche toccati. Ho bevuto solo acqua. Niente thè né caffè. E allora? Strano. Eppure continuavo a sentirmi salir su una di quelle arrabbiature sorde che, in genere, passano dopo una bella sfuriata, magari contro un automobilista scorretto che fa una manovra poco ortodossa. In questi casi l’automobilista scorretto è prezioso: come su un parafulmine si può scaricargli addosso tutta la rabbia. Mi guardo intorno per vedere se ne becco uno. Nulla. Strada semideserta e gente disciplinatissima al volante. Bella sfortuna. Non ne posso più. Accosto la macchina e mi fermo lungo la striscia d’asfalto che separa i due lati della laguna di Tunisi.
Esco e mi siedo su uno scoglio in cerca di una spiegazione a questo strano stato d’animo, un misto di collera, rabbia, vergogna che non so spiegarmi.
Poi, d’un tratto, capisco. Sono loro, quegli ospiti italiani, vecchietti miei connazionali indigenti dimenticati da tutti e affidati alla carità delle suorine indiane. E’ loro la rabbia, la collera, il dolore sordo che sento. Mia invece, tutta mia, la vergogna.
Vergogna d’essere italiano. Cittadino, anzi, suddito d’un regime che spende una montagna di danaro per avere un’ambasciata che serve a garantire che -nel caso mi pigli un accidente qui e non abbia la fortuna di rimanerci secco- mi scarichi in una casa della carità dove, se va bene e non ci sono intoppi, vengo affidato alla pietà di tre suorine indiane piccole piccole e nere nere. Proprio simili a quelle ‘faccette nere‘ alle quali qualcuno che credeva d’essere un grande della storia voleva garantire, una volta insediatosi nel loro territorio, un ‘altro duce e un altro re‘.
Quelle ‘faccette nere‘ che qualcun altro oggi, magari fra una seduta e l’altra del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana fondata non più sul lavoro ma su un grosso, sempre più drammatico equivoco, chiama ‘baluba‘.
Ho provato una vergogna enorme, che m’ha travolto come una slavina, una valanga di melma (per non dire di peggio) e mi son sentito cascare le braccia.
Ho provato una vergogna tale che neanche a ripensare a tutte le coppe del mondo dei giocatori di palla, a tutte le medaglie d’oro, d’argento e di bronzo di tutte le olimpiadi, m’è riuscito di allontanare.
Anzi, più cercavo di pensare a queste cose che, di solito, fan l’orgoglio dell’italiano, più mi son sentito sommerso da questa enorme, violenta, gigantesca valanga di vergogna.
La vergogna d’essere italiano, suddito d’un regime cieco e sordo, che abbandona i propri cittadini al loro destino, affidandoli, con un’elemosina, alla carità di suorine extracomunitarie, nere come la pece, nere come quei clandestini che vengono additati come fonte d’ogni disgrazia in Italia e ai quali, fuor dall’Italia non ci si pèrita di affibbiare la custodia di connazionali che han solo il torto, la disgrazia e la malasorte non tanto d’esser vecchi, malati e indigenti, quanto, piuttosto quella d’essere italiani.
Eh si, perché potete pur star certi che un cittadino inglese, americano, spagnolo, belga o tedesco, nelle stesse condizioni, non viene lasciato come un cane in mezzo alla strada. Un cittadino francese poi, figuriamoci!
Essere italiani: bella disgrazia!
Mi piacerebbe tanto poter tornare dalle suorine indiane di Madre Teresa e dir loro: guardate che non tutti gli italiani sono come quelli ‘ufficiali‘. Ce ne sono anche di una razza differente. A partire da quelli che son qui in Tunisia, che lavorano, che fanno lavorare gli altri e che sanno esser solidali con i loro connazionali in difficoltà. E ci sono anche quelli che, in Italia, sanno ancora cosa vuol dire ‘essere italiani‘, e che quando senton l’inno nazionale ‘Fratelli d’Italia‘ non alzano il dito medio, ma metton mano al portafoglio e sanno esser generosi come nessun altro sa esserlo.
Mi piacerebbe tanto poter dimostrare a quei vecchietti, che hanno il solo torto d’esser nati italiani, che l’Italia non è fatta solo di silenzio, ma che ha anche una voce con la quale è capace di cantare a chiare note la solidarietà, la fraternità, l’amicizia.
Ma forse mi sbaglio. Forse quest’Italia non esiste. O non esite più. O non è mai esistita.
Forse esiste, però, un’Italia degli italiani che non si alimentano della retorica d’una bandiera da sventolare solo in occasione d’una partita di pallone o d’una gara di fioretto. Un’Italia che sfugge alle logiche di chi la vuole partigiana di un venditore di piazza o d’un altro. Un’Italia che i giannizzeri del regime non sono riusciti ancora a sfiancare. Un’Italia nascosta, silenziosa, fatta di gente perbene che non aspetta d’esser sollecitata da un giullare per riprendersi quel che è suo, vale a dire la propria dignità e le redini del proprio destino.

Per rappresentare quest’Italia, nella quale mi voglio ostinare a credere ancora, ho scelto questa foto, nella quale si vede un uomo -che non era certo disponibile ad accogliere a braccia aperte tutti- mentre accoglie a braccia aperte Madre Teresa di Calcutta. Un uomo del quale Indro Montanelli ebbe a scrivere Non è necessario essere socialisti per amare Pertini. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità.

Sandro Pertini e Madre Teresa di Calcutta
Sandro Pertini e Madre Teresa di Calcutta

Lo stesso Indro che per definirne altri scrisse la frase ormai proverbiale: Tappiamoci il naso e votiamo per loro.
Adesso non è più tempo da tapparsi il naso. Di fronte a questi connazionali sarebbe bello e importante (e forse più per noi di quanto non possa esserlo per loro) fare qualcosa di concreto.
Da Italiani. Italiani veri.

4 pensieri riguardo “Nota a margine. Sull’orgoglio di essere italiani…

    marta ha detto:
    20 agosto 2008 alle 11:08 PM

    Ehi! Calma.
    Prima di tutto è inutile ritornare dalle suorine a dir loro che non tutti gli italiani sono quello che hai detto: lo sanno già! Hanno visto te, hanno sentito il tuo cuore. Sono consorelle di Madre Teresa … ed è detto tutto.
    Poi, gli italiani non sono il governo italiano … ci mancherebbe altro!
    Ed infine, piuttosto che lasciarsi travolgere dalla vergogna e dalla rabbia, perchè non pensare di fornire aiuti a queste suorine?
    Voglio dire, qui si può fare qualcosa e si può fare tanto! Quindi, se le possibilità te lo permettono, perchè non agganciare questo Istituto a qualche Istituto italiano? Perchè non “inventare” per loro, dentro le nostre belle chiese ed in mezzo a “giornate della carità” il modo di raccogliere offerte per loro?
    E’ inevitabile la rabbia, è ovvia, ma pensare di “fare qualcosa per loro” non sarebbe male davvero.
    E poi, cosa ci fanno lì? Perchè non sono in Italia? Dove sono le loro famiglie?
    E’ bello questo articolo dove si vede tanta bontà (classica di Madre Teresa) e dedizione di queste suorine ed è anche educativo.
    Loro ci sono in mezzo a tanta difficoltà, ma, ci hai per caso visto rabbia nei loro occhi? Ci hai forse visto condanna nei loro cuori? Direi di no! Hanno pochissimo, ma ti hanno aperto la loro casa, ti hanno dato un bicchiere d’acqua, ti hanno offerto dei pasticcini … e per loro sei uno sconosciuto!
    Il minimo che si può fare è dare fondo ai propri mezzi per agganciare questi istituti agli istituti italiani CHE GARANTISCANO LORO UN SOSTENTAMENTO FATTO DI CARITA’ E NON DI LEGGI O DI “DESTINAZIONE DI DENARO PUBBLICO”. E’ il minimo e quindi chi può lo faccia!!
    Struttura con struttura e di struttura in struttura cerchiamo di formare una catena che arrivi ovunque. Madre Teresa ha fatto così, le sue consorelle fanno così e con il sorriso sulle labbra senza rancore o giudizio. Si deve vergognare solo chi non si muove a compassione e poi … davvero gli italiani non sanno che ci sono dei loro vecchietti abbandonati a Tunisi … non lo sanno davvero!
    La condivisione, oggi come oggi, passa attraverso (e per fortuna) delle strutture ben organizzate e con questo non sto parlando di Caritas o che altro, ma sto parlando di Comunità di suore dentro alle parrocchie, sto parlando di preti e frati dentro le loro comunità, sto parlando delle strutture più vicino a noi.
    Mandiamo soldi in ogni dove: in Africa, in Asiam in Cina … perchè non provare, attraverso queste strutture, a mandarli anche a queste suorine?
    Rimane comunque il fatto dell’insegnamento di queste figlie di Dio. Un insegnamento grande ed immenso. Un insegnamento che profuma solo di amore e di fiducia nella Provvidenza che attraverso altri uomini faranno arivare i loro aiuti.
    Nessun rancore, nessun giodizio … ed anche questi poveri vecchietti, davvero, non potevano averne nel loro cuore con davanti quotidianamente persone “piccole e nere”, ma luminose come soli!!!
    Ripeto, chi può faccia qualcosa e agganci loro a tutto il resto della catena della carita e dell’amore fraterno.
    E … a questo punto consiglierei a tutti di farsi una bella lettura di un San Paolo nella lettera ai Romani, cap. 12.
    E’ tutto lì!
    Grazie Calibano per tanta luce che porti!

    Archim. Mons. Virginio Fogliazza ha detto:
    22 agosto 2008 alle 5:42 PM

    Desolante !
    Sarebbe cosa buona chiedere all’AMBASCIATA ITALIANA A TUNISI qual è il rapporto con queste Suorine che assistono quelle persone anziane di nazionalità italiana.
    Tra le finalità della Cooperazione Internazionale c’è anche l’assistenza degli italiani bisognosi, residenti all’Estero .
    Non ci sarà in diocesi di Tunisi un incaricato per la Comunità italiana ?.
    d.Virginio

    Calibano ha risposto:
    22 agosto 2008 alle 7:11 PM

    In Diocesi di Tunisi c’è un sacerdote, parroco a Bizerte, che segue personalmente, nei limiti delle sue possibilità, i casi. C’è anche una suora, a Tunisi, che visita regolarmente le persone anziane e sole che non se la sentono di lasciare la propria abitazione per trasferirsi a La Goulette. Infine l’ultrasettantenne direttore dell’Institut des belles lettres arabes, P. Jean Fontaine, dei Padri Bianchi (un’autorità indiscussa nel campo della letteratura araba contemporanea, autore, fra l’altro dei tre volumi di storia della letteratura tunisina), dedica due giorni ogni settimana per fare il giro di tutte le carceri del paese dove sono reclusi europei (fra i quali anche italiani) per offrire loro assistenza non solo spirituale.
    Io credo che se non ci fossero queste persone, che in questo paese rappresentano la Chiesa e non gli stati dei paesi di loro provenienza, nessuno si prenderebbe cura di chi, dimenticato dagli uomini, sarebbe destinato a quella “rottamazione” tanto deprecata quanto praticata senza nesun scrupolo da chi potrebbe, destinando una parte del “budget” riservato a banchetti e brindisi ufficiali, fare qualcosa di concreto. Dimenticati dagli uomini, si, ma non da Dio, il quale è, non dobbiamo dimenticarlo mai, “Giusto Giudice”. Il Vangelo c’insegna che neanche un capello di questi poveri cadrà senza che il Padre Nostro che è nei Cieli se ne accorga…
    Provare a contattare l’Ambasciata è giusto, ed è stato fatto in prima persona dal Vescovo. I risultati sono quelli descritti nell’articolo.

    marta ha detto:
    22 agosto 2008 alle 9:24 PM

    Se aspettiamo strutture e organi preposti stiamo “freschi” … io insisto sull’aiuto dalla base. Naturalmente una bella svegliata a chi di dovere è d’obbligo, ma in attesa di questo fare qualche cosa di concreto non sarebbe male, no?
    Ribadisco di “sensibilizzare” le nostre comunità italiane di religiosi nell’aiutare queste sante suorine. Loro hanno tante di quelle idee per far “affiorare” aiuti. Anche perchè queste “comunità di religiosi” hanno contatti con gli italiani “normali”. E una parola all’uno, e poi l’uno all’altro e poi sempre di più … qualcosa si potrebbe muovere.
    Dire sempre “tocca a quello o a questo” non è che si risolva molto sotto l’aspetto di “necessità quotidiane” … quindi mentre qualcuno arma la “tromba” della “sveglia” altri si armino di coraggio a vada a “bussare” in “case” dove la carità a 360° dovrebbe essere d’obbligo. E caspita sono italiani … ma anche se non lo fossero sarebbe la stessa cosa!
    Mi pare la cosa più sensata da fare … e se no la si fa … siamo allo stesso livello dell’Ambasciata … e se poi, ci mettiamo di mezzo Dio con Suo Figlio, allora la “musica” cambia davvero non vi pare?

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